
Prima di cominciare qualcosa bisogna sempre parlare con sé stessi. È il sussurro di un vecchio ad un
giovane africano in un autobus che porta a Rabat, a caccia di un rifugio chiamato “Europa”. Una
frase-simbolo, quello di un viaggio durato quattro anni dal Senegal verso la Spagna attraverso
il Marocco, prima, e verso il Bel Paese via Libia, poi. Due libri scritti (Io immigrato
Clandestino, Bertoni editore e La mia vita interiore, di prossima pubblicazione) che raccontano l’arte
di parlare con sé stessi, di sconfiggere i propri spigoli e il buio che ci assale in una vita dura – quella
della baraccopoli prima di tutto – e che sembra non regalare vie d’uscita. Un’uscita che oggi Sidy, 38
anni, ha trovato nei quadri che dipinge e nei libri che scrive e che sono stati, come dice lui, “il suo
psicologo”: quel rifugio di pace tra le fila dei ricordi di un viaggio ai limiti dell’umano dove “si ha
l’impressione che si soffra ma alla sofferenza successiva ci si rende conto che quello che si era vissuto
prima, in confronto, era il paradiso.”
Cresciuto in un contesto fragile, minacciato da una polizia al soldo del governo a causa delle
sue attività a sostegno della democrazia: è così che Sidy lascia un paese che
sembra una prigione, un paese che però è anche la terra del “teranga” – in lingua wolof, ospitalità,
calore e rispetto – e dove non esistono distinzioni di religione ma dove tutti possono dormire e
mangiare a casa di tutti. Una terra di cui Sidy rammenta le fragilità ma “prima di tutto i rumori e la
forza delle relazioni”, fil rouge di ogni ricordo perché “guardare le cose belle e trovare la pace
interiore” dice lui, è sempre questione di scelta. “A volte è stata dura ma la forza per vivere tutto
stava sempre dentro di me. Magari vedi una donna con due bambini che attraversa il mare anche lei,
con tanta fede e questo ti aiuta a ritrovare tutto dentro di te.” Un viaggio doloroso ma in cui Sidy non
tralascia mai di sottolineare il bello, gli aiuti provvidenziali lungo il cammino e la luce su sé stesso,
come quando, tendendo la mano la prima volta per mendicare i soldi per l’autobus in Marocco
comprende che mendicare è il modo in cui la vita gli sta insegnando a combattere il suo orgoglio.
Perché per smussare l’orgoglio, dice, inginocchiarsi davanti agli altri diventa necessario, e “se non ci si
presenta davanti ad un medico non si può guarire da questa malattia.”
Scegliere il bello anche nelle parole, sembra questo il suo motto, anche nei momenti più estremi: una
scelta che chiede sempre coraggio e introspezione ma rispetto alla quale, dice, chi ci educa ha un
ruolo cruciale.
“In Africa pochi hanno tutto e tanti non hanno nulla. In questo è stato importantissimo il ruolo di
mia madre e come mi ha educato a guardare queste differenze. Mi diceva che se noi eravamo
poveri e altri no non era perché noi ce lo meritavamo o perché eravamo pigri. Mi diceva di non
cercare una ragione a tutti i costi ma, invece, di battermi il petto e pregare perché i miei figli, un
giorno, non vivessero la stessa cosa. È stata lei a insegnarmi che essere in pace con sé stessi è la
cosa più importante, anche se non hai nulla. E anche se era piena di problemi tutto quello che
faceva lo faceva cantando. E da fuori non potevi capire che avesse delle difficoltà. Naturalmente
non tutta l’Africa è così: non tutta l’Africa “canta”. C’è anche gente disonesta, ma come dappertutto.
Solo che io dell’Africa preferisco guardare le cose belle. È una questione di come guardi. E di trovare
la pace.”
Una Pace che, racconta, dopo un viaggio attraverso un inferno chiamato Libia, ha ri-trovato al centro
del mondo.
“Il primo impatto con Foligno è stato molto bello ed è stato all’Arca, dove ho conosciuto Chiara,
Elisabetta e Laura: tre donne meravigliose che sono state per me come tre sorelle e con cui è stato
possibile, prima di tutto, sorridere e scherzare. Poi ci sono state tante altre realtà di Foligno in cui ho
trovato una famiglia: La Casa dei Popoli, per esempio, e anche Giovanni Guidi con cui abbiamo creato i
GamScorpions un gruppo dove lui, da pianista jazz, suonava e io cantavo sopra le canzoni africane. Gli
altri ragazzi, tutti del Gambia, hanno lasciato Foligno dopo un po’ per andare in altri paesi e solo io
sono rimasto qui. Nemmeno io so come mai. Però mi sono innamorato di Foligno. Ho trovato la Pace
e delle belle persone, che era tutto quello che cercavo.” Una Foligno in cui, alla fine, Sidy ha trovato
anche una sua missionarietà:
“Nella mia pagina Facebook provo a raccontare tutto quello che ho visto e com’è realmente
l’Europa. Che anche qui c’è povertà. Che anche qui la gente non lavora. Se io racconto che un italiano
non ha da mangiare non ci credono. Ma io voglio dire tutto anche per loro, per chi è rimasto in
Senegal e non sa.”
E aggiunge: “Il mio sogno è di scrivere tanti libri e mi piacerebbe farne uno spettacolo teatrale. Vorrei
poi aiutare l’Africa. È un continente molto stanco e vorrei aiutare le persone che soffrono e dare loro
un po’ di energia. Attraverso i miei libri o anche solo con un sorriso.”


