Laureata in Economia e Commercio, Monica Checchè collabora e lavora da anni con la Caritas di Foligno e con il suo ente gestore L’Arca del Mediterraneo, ed è referente locale di Safe: un progetto, dice, di “apertura alla chiusura” che somiglia un po‘ all’omonima frase di Harry Potter pronunciata dal protagonista alla fine della saga. Perché lavorare con le marginalità, spiega, “vuol dire conoscere, stare a fianco degli ultimi, partendo dalle chiusure” che sono “quei meccanismi del difficile processo di inclusione sociale che possono essere cambiati solo insieme e solo a piccoli passi”.

“Ho vissuto Safe da due lati, spiega Monica. All’inizio, attraverso Caritas Italiana, ho partecipato alla costruzione della rete da cui poi è nato il progetto. La rete è importante perché porta ad amplificare un messaggio che qui, con Safe, è quello della centralità del lavoro e della salute. In un secondo momento ho fatto da referente rispetto alle attività progettuali di Safe sviluppate dall’Arca a Foligno, attività che, appunto, riguardano sia l’inclusione lavorativa – principalmente con l’attivazione di tirocini – che quella sanitaria. Con Safe non risolviamo un problema ma mostriamo alla società una possibilità di attivare soluzioni. Essere piccoli, lavorare sul piccolo. Questo porta ad un risultato grande.”

Piccolezze che, racconta, hanno prima di tutto lo scopo di far sentire i più fragili di essere protetti. “Non amiamo né a parole né con la lingua ma con i fatti”, si dice nel Vangelo. Safe vuol dire dare una risposta concreta. Solo per un periodo? È un punto di partenza che ha cambiato delle cose anche per me. Nel mio lavoro di solito mi occupo di numeri e di progettazione, ho un rapporto più mediato con i beneficiari ultimi e il pericolo a volte è quello di arrivare ad essere “noi e loro” quando invece siamo “tutti” – come il motto di Safe: tutti sulla stessa barca. Con Safe, invece, sono stata molto più a contatto con i beneficiari reali, ho affiancato il Centro di Ascolto Caritas – nella fase di conoscenza dei potenziali beneficiari del progetto e ho lavorato anche per leggere avanti e guardare le potenzialità di quella persona. In questo Safe mi ha dato un aspetto in più.”

Anche se – racconta – non è stato l’unico cambiamento.

“Internamente Safe ha avuto un impatto importante nella nostra Fondazione Arca perché ha creato un gruppo trasversale che ha lavorato come equipe. Credo che rafforzare la collaborazione interna porti a migliorare anche l’impatto esterno del progetto. Un progetto funziona se c’è un gruppo e questo gruppo va oltre le chiusure, gli ostacoli, anche nelle relazioni, perché certi meccanismi – come l’inclusione lavorativa e sanitaria che sono l’obiettivo di Safe – possono essere toccati solo da una collaborazione. Avviare un tirocinio ad esempio è un atto complesso di relazioni che riguarda anche altri attori e non è un lavoro assistenziale ma è lavorare appunto per avviare un processo perché un domani quel tirocinio porterà ad altro. È come la storia di Harry Potter dove alla fine dei sette libri tutti si aspettano la magia, il superpotere per sconfiggere il male ma la realtà è che per sconfiggere il male, anche nella società, non c’è nessuna magia. C’è il dono di sé, lo stare accanto. Qui mi piace citare Chiara Scardicchio (“Metabolè”, 2020) per cui ogni storia per risolversi è uno stare con le ombre; non contro di esse ma dentro appunto perché è l’unico modo per trasformare, per fare il salto. Safe ci fa stare con le ombre delle persone che vivono queste mancanze, lavorative e sanitarie, ma ce lo fa fare concretamente, per poi attraverso la relazione generare cambiamento rispetto alla loro situazione.” È questa la magia di Harry Potter, dice la Scardicchio, ma è anche stata – conclude Monica – la magia di Safe.